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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Origine della Cultura: le tecnologie ci hanno cambiato, la scrittura ha creato un mondo nuovo
TEORIE > CONCETTI > SCRITTURA
Scopo di questa pagina
Sembra che il modo in cui, oggi, ragioniamo in modo cosciente, cioè il modo con il quale organizziamo le nostre risorse inconsce, non sia proprio dell'essere umano arcaico ma derivi dalle risorse che la tecnologia della scrittura ha via via reso disponibili, alla coscienza umana. Questa è la conclusione cui è arrivato lo studioso di storia della cultura Walter J. Ong espresse nel libro 'Oralità e scrittura': in altre parole se oggi ragioniamo così è perchè, prima la scrittura e dopo tutte le altre tecnologie della comunicazione (oggi la Rete e i social media), hanno avuto implicazioni profonde nella costruzione del nostro modo di pensare, cioè sulla nostra mentalità. Nell'introduzione al suo libro Walter Ong scrive: "Il nostro libro tratta, non solo della scrittura, ma anche della stampa, e accenna fugacemente all'elaborazione elettronica della parola e del pensiero, come nella radio, nella televisione e via satellite. Solo ora, nell'era elettronica, ci rendiamo conto delle differenze esistenti tra oralità e scrittura; sono state infatti le diversità fra i mezzi elettronici e la stampa che ci hanno resi consapevoli di quelle precedenti fra scrittura e comunicazione orale. L'era elettronica è anche un'era di 'oralità di ritorno', quella del telefono, della televisione, la cui esistenza dipende dalla scrittura e dalla stampa". Il linguaggio e l'alfabetismo sono le principali caratteristiche che distinguono le società animali da quelle umane ma anche, all'interno di queste, le società civilizzate da quelle primitive, come ha dimostrato l'antropologo Jack Goody nel suo libro 'L'addomesticamento del pensiero selvaggio' nel quale mostra come le differenze tra le varie società possono essere fatte risalire ai cambiamenti introdotti nei mezzi di comunicazione, con l'introduzione dei vari tipi di scrittura (cuneiforme, geroglifica, alfabetica, sillabica) fino all'introduzione della stampa e, infine, alla comunicazione digitale consentita dalla rete Internet che stiamo vivendo da pochi decenni. Ad ognuna di queste tappe aumentava la distanza tra mondi alfabetizzati e mondi non alfabetizzati. Una distanza che investiva tutte le strutture intellettuali della società (economiche, sociali, politiche). Per l'importanza degli enormi effetti che la comunicazione ha avuto sullo sviluppo sociale, è importante capire la differenza tra cultura orale e cultura scritta che il linguista Walter J. Ong ha descritto nel suo libro 'Oralità e scrittura'. Egli spiega che l'invenzione della scrittura ha comportato il passaggio dell'essere umano, come ha scritto Ong (p. 101): "da uno stile di vita "verbomotorio", nel quale i risultati delle controversie dipendevano più dall'uso efficace delle parole, e di conseguenza dall'interazione umana, che non dalla influenza, in gran parte visiva, del mondo 'oggettivo' delle cose. [...] L'oralità primaria favorisce personalità in un certo modo più comunitarie ed esteriorizzate, meno introspettive, di quelle degli alfabetizzati. La comunicazione orale raggruppa gli individui; la scrittura e la lettura sono invece attività solitarie, che fanno ripiegare la mente su se stessa. Un maestro che parla a una classe che egli sente, e che si sente come un gruppo molto unito, scoprirà che se fa prendere un libro di testo e leggere un dato brano, l'unità del gruppo svanirà appena ogni persona sarà entrata nel proprio mondo individuale." L'apparire dell'introspezione nella personalità umana è stato trattato nella pagina "Archeologia della mente". Tutto questo vuol dire che l'uomo con oralità primaria era più agonistico (verbalmente), meno introspettivo, più confuso esteriormente e più violento. La scrittura ha creato un mondo nuovo per l'essere umano dal punto di vista psicodinamico, avviando lentamente la trasformazione della società umana.
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Punto chiave di questa pagina
MENTALITA' DELLE CULTURE ORALI E MENTALITA' DELLE CULTURE ALFABETIZZATE: Walter Ong scrive: "Il passaggio dall'oralità alla scrittura e da questa all'elaborazione elettronica comporta un mutamento nelle strutture sociali, economiche, politiche, religiose, ecc. [...] (p.104): "Man mano che scrittura e stampa gradualmente alterano le antiche strutture mentali dell'oralità, le narrazioni sempre meno si basavano su 'grandi' figure, finchè, circa tre secoli dopo l'invenzione della stampa, esse si possono ormai muovere a proprio agio nella realtà ordinaria tipica del romanzo. In questo genere letterario, al posto dell'eroe incontreremo perfino l'anti-eroe, il quale, invece di affrontare il nemico, gli volta le spalle e scappa, come il protagonista di 'Corri coniglio' di John Updike. L'eroico e il meraviglioso hanno avuto una funzione specifica nell'organizzare la conoscenza all'interno del mondo orale, ora, con la possibilità - introdotta dalla scrittura e ancor più dalla stampa - di esercitare una forma di controllo sull'informazione e sulla memoria, viene a cessare l'esigenza di un eroe nell'antico senso, che convogli conoscenza sotto forma di racconto." E' proprio il cambiamento nel modo di pensare umano che ha determinato ogni cambiamento culturale"
Punti di riflessione
Come Havelock ha eccellentemente dimostrato, tutta l'epistemologia platonica inconsapevolmente si fondava proprio su un rifiuto del vecchio mondo della cultura orale, mobile e caldo, il mondo delle interazioni personali, rappresentato dai poeti, che egli non aveva voluto nella sua "Repubblica". Naturalmente Platone non aveva piena consapevolezza delle forze inconsce all'opera nella sua psiche per produrre questa reazione, spesso eccessiva, che è dell'individuo alfabetizzato nei confronti della lentezza e dell'indugio nell'oralità. (Walter J. Ong)
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Uno studio diacronico dell'oralità, della scrittura e delle varie tappe nell'evoluzione dall'una all'altra crea strumenti mediante i quali è possibile capire meglio non solo la cultura orale originaria e quella scritta successiva, ma anche la cultura della stampa, che sviluppa ulteriormente la scrittura, e quella elettronica, che si costruisce a partire dalla scrittura e dalla stampa. In questo quadro diacronico, il passato e il presente, Omero e la televisione, possono illuminarsi vicendevolmente. (Walter J. Ong p.20)
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Anche usare un computer per le ricerche sul Web anche solo per un'ora al giorno cambia il modo in cui il cervello elabora le informazioni. Una raffica costante di contatti elettronici è sia stimolante, che affina alcune capacità cognitive, sia drenante, dimostrano gli studi. (Gary Small, Gigi Vorgan)
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La scrittura dà il senso delle singole parole come entità separate, essa è, qui come altrove, dieretica, separatrice. (I manoscritti antichi tendono non a separare in modo chiaro le parole l'una dall'altra, ma a raggrupparle). (Walter J. Ong p.93)
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Comprendiamo, tre secoli dopo, l'intuizione di Giambattista Vico circa la base corporea di tutti i costrutti, fino al più esclusivamente umano dei meccanismi cognitivi, la metafora (Vico, 1744). Fin dall'inizio, la vita è possibile solo dove avviene il trasferimento di informazioni, con conseguenze in termini di materia e/o energia. Non c'è vita senza reti autopoietiche indipendenti capaci di replicarsi. (Angelo Recchia-Luciani)
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L'intersezione tra le scienze 'dure', che si occupano di 'cose', e le scienze 'morbide' o 'storiche', che si occupano di processi, è precisamente questo: l'identificazione di modelli invarianti, che per lungo tempo hanno sono state chiamate le leggi immutabili della natura. Come nascono i segni? Come si comincia ad andare oltre le relazioni di primo livello, tra segno e oggetto, e si passa a percepire e poi manipolare le relazioni-tra-relazioni? Le scimmie possono percepire somiglianze e differenze tra gli oggetti. Gli scimpanzé, come i bambini, sono in grado di fare associazioni di secondo livello, ma solo dopo un periodo di istruzione, il cui ruolo non va in alcun modo sottovalutato. Gli studi sull'«effetto Baldwin» hanno dimostrato che è difficile considerare un pattern «genico» come qualcosa di più di un tipo di predisposizione. E inoltre, gli effetti della regolazione epigenetica, del comportamento e dell'acquisizione possono alterare drasticamente l'esito dello sviluppo - la realizzazione del fenotipo - sebbene senza influenzare direttamente ciò che viene copiato e trasmesso attraverso le generazioni. (Angelo Recchia-Luciani)
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Il pensiero e l'espressione orale di tipo formulaico sono profondamente ancorati nella coscienza e nell'inconscio, e non svaniscono appena viene presa in mano la penna per la prima volta. [...] Sembra che, ovunque, la prima poesia scritta sia necessariamente un'imitazione di quella orale; la mente umana infatti non ha all'inizio risorse adatte all'espressione scritta, per cui ci si limita a tracciare su una superficie parole che si immagina di star pronunciando ad alta voce. [...]  Clancy riferisce che persino Eadmer di Canterbury, che visse nell'XI secolo, sembra pensare alla composizione scritta come all'atto di dettare a 'se stesso'. [...] L'uso massiccio di elementi formulaici, caratterizzavano ancora quasi ogni tipo di prosa nell'Inghilterra dei Tudor, e questo circa duemila anni dopo la campagna di Platone contro i poeti orali. (Walter Ong p. 50)
Walter Ong scrive: "In uno studio diacronico della cultura, il passato e il presente, Omero e la televisione, possono illuminarsi vicendevolmente."
Le tecnologie cambiano la mente umana


Lo studioso della cultura Walter J. Ong ha evidenziato, nel suo libro "Oralità e scrittura - Le tecnologie della parola", quanto la tecnologia della scrittura, forse la più importante espressa dall'essere umano finora, ne abbia cambiato il pensiero. Nell'introduzione al libro egli scrive (p.19):

Differenze di fondo sono state scoperte in anni recenti tra i modi della conoscenza e dell'espressione verbale nelle culture ad oralità primaria - vale a dire culture senza la scrittura - e quelli delle culture profondamente interessate dalla stessa. Con sorprendenti implicazioni: molti dei tratti per noi ovvi del pensiero e dell'espressione letteraria, filosofica e scientifica, nonchè della comunicazione orale tra alfabetizzati, non sono dell'uomo in quanto tale, ma derivano dalle risorse che la tecnologia della scrittura mette a disposizione della coscienza umana. Abbiamo, dunque, dovuto rivedere il nostro modo stesso di intendere l'identità umana. Argomento di questo libro [Oralità e scrittura] è la differenza tra oralità e scrittura; o meglio, poichè i lettori di questo come di ogni altro libro conoscono la cultura scritta dal suo interno, si parlerà innanzitutto del pensiero e della sua verbalizzazione in una cultura orale, e solo successivamente del pensiero e dell'espressione scritta in rapporto con la oralità.

Nel delineare ciò che distingue il mondo orale da quello scritto, Ong si sofferma sul fatto che il parlare richiedeva sempre dei movimenti corporali, tanto più evidenti quanto maggiore era l'importanza pubblica del discorso da fare. Egli scrive (p.100):

Il mondo orale non esiste mai in un contesto puramente verbale, come invece accade con la parola scritta. L'espressione orale è sempre la modificazione di uno stato complessivo, esistenziale, che impegna tutto il corpo. L'attività corporea non è né un elemento peregrino, nè un espediente artificioso nella comunicazione orale, ma ne è una componente naturale e addirittura inevitabile. Nell'espressione orale, specialmente se pubblica, l'immobilità assoluta è già di per sé un gesto significativo. [...] Esempi di attività manuale sono la gestualità, spesso elaborata e stilizzata, o attività corporee diverse come l'oscillare avanti e indietro o il ballo. Il Talmud, pur essendo un testo scritto, viene vocalizzato dagli ebrei ortodossi, in gran parte ancora di tradizione orale in Israele, mentre oscillano con il busto avanti e indietro, come io stesso ho potuto vedere.

Cosa distingue una cultura orale da una alfabetizzata? Walter Ong scrive (p. 101):

da uno stile di vita "verbomotorio", nel quale i risultati delle controversie dipendevano più dall'uso efficace delle parole, e di conseguenza dall'interazione umana, che non dalla influenza, in gran parte visiva, del mondo 'oggettivo' delle cose. [...] L'oralità primaria favorisce personalità in un certo modo più comunitarie ed esteriorizzate, meno introspettive, di quelle degli alfabetizzati. La comunicazione orale raggruppa gli individui; la scrittura e la lettura sono invece attività solitarie, che fanno ripiegare la mente su se stessa. Un maestro che parla a una classe che egli sente, e che si sente come un gruppo molto unito, scoprirà che se fa prendere un libro di testo e leggere un dato brano, l'unità del gruppo svanirà appena ogni persona sarà entrata nel proprio mondo individuale.

Walter Ong scrive (p.102):

La comunicazione orale raggruppa gli individui; la scrittura e la lettura sono invece attività solitarie, che fanno ripiegare la mente su se stessa. Un maestro che parla a una classe che egli sente, e che si sente come un gruppo molto unito, scoprirà che se fa prendere un libro di testo e leggere un dato brano, l'unità del gruppo svanirà appena ogni persona sarà entrata nel proprio mondo individuale. A questo proposito Carothers osserva che i popoli a tradizione orale esteriorizzano gli eventuali comportamenti schizoidi, mentre quelli alfabetizzati li interiorizzano. Questi ultimi manifestano spesso tali tendenze (la perdita di contatto con l'ambiente ecc.) ritirandosi fisicamente in un proprio mondo di sogni (sistematizzazione schizofrenico-maniacale), mentre i primi manifestano comunemente le proprie tendenze schizoidi mediante un'estrema confusione esteriore, che li porta spesso ad azioni violente, con mutilazioni di sé e di altri.

Walter Ong scrive (pp. 47-48):

In una cultura orale la conoscenza, una volta acquisita, doveva essere costantemente ripetuta, o si sarebbe persa: modelli di pensiero fissi e formulaici erano indispensabili per il sapere e per un'efficiente amministrazione. Ma all'epoca di Platone (427?-347 a.C.) un cambiamento era ormai avvenuto: i greci avevano finalmente interiorizzato la scrittura, secoli dopo lo sviluppo dell'alfabeto greco, avvenuto intorno al 720-700 a.C. Il nuovo modo di immagazzinare il sapere non si basava più su formule mnemoniche, ma sul testo scritto. Questo liberava la mente, dandole la possibilità di formulare pensieri più astratti e originali. Havelock mostra che Platone escludeva i poeti dalla sua Repubblica ideale essenzialmente (se non proprio consapevolmente) perchè si trovava in un mondo intellettivo nuovo, regolato dalla scrittura, in cui la formula o il cliché amati dai poeti tradizionali, erano fuori moda e controproducenti. Conclusioni inquietanti, queste, per la cultura occidentale che si è fortemente identificata con Omero come parte di un'antica Grecia idealizzata. Esse mostrano una Grecia omerica che coltivava come virtù poetiche e dell'intelletto proprio ciò che noi siamo abituati a considerare vizio; e indicano che il rapporto fra la Grecia di Omero e tutto ciò che la filosofia dopo Platone rappresenta è, per quanto superficialmente armonico e senza soluzione di continuità, di fatto profondamente antagonistico, anche se spesso a un livello inconsapevole. Di tale conflitto inconsapevole risentì anche Platone, che nel 'Fedro' e nella 'Settima lettera' esprime riserve sulla scrittura, che egli considera un modo meccanico e disumano di elaborazione della conoscenza, insufficiente a dare risposte e lesivo della memoria; oggi noi sappiamo che il pensiero filosofico per cui lottava Platone dipendeva totalmente dalla scrittura. Non c'è perciò da meravigliarsi se tutto questo è rimasto nascosto per tanto tempo.  L'importanza della civiltà dell'antica Grecia rispetto al mondo intero cominciava ad assumere un altro aspetto: essa segnò il momento della storia umana in cui, per la prima volta, una scrittura alfabetica scritta profondamente interiorizzata si scontrò con l'oralità. E, nonostante il disagio di Platone, a quel tempo né Platone né altri  furono - o potevano essere - consapevoli di quanto stava succedendo.
C'è un prima e un dopo. Esistono oggi almeno due stili di pensiero: uno stile precedente all'invenzione della scrittura, lo stile verbomotorio, e uno stile successivo all'invenzione della scrittura (e lettura), lo stile alfabetizzato.
Stile verbomotorio (oralità primaria)
oralità
Walter Ong scrive (p.101): "Le culture da noi qui definite verbomotorie colpiranno probabilmente l'uomo dell'era tecnologica come troppo propense a dare importanza al linguaggio, a sopravvalutare e praticare esageratamente la retorica. Nelle culture orali primarie, persino gli affari non sono affari, essi sono fondamentalmente retorica. Comperare qualcosa in un 'souk' o in un bazar del Medio Oriente non è una semplice operazione economica, come sarebbero gli acquisti in un grande magazzino londinese, e come una cultura tecnologica avanzata presume sia naturale. Si tratta piuttosto, di una serie di manovre verbali (e somatiche), di un duello educato, di una gara d'abilità, di una operazione di agonistica orale. L'oralità primaria favorisce personalità in un certo modo più comunitarie ed esteriorizzate, meno introspettive, di quelle degli alfabetizzati."
Stile alfabetizzato (scrittura)
scrittura
Walter Ong scrive (p.104): "Man mano che scrittura e stampa gradualmente alterano le antiche strutture mentali dell'oralità, le narrazioni sempre meno si basavano su 'grandi' figure, finchè, circa tre secoli dopo l'invenzione della stampa, esse si possono ormai muovere a proprio agio nella realtà ordinaria tipica del romanzo. In questo genere letterario, al posto dell'eroe incontreremo perfino l'anti-eroe, il quale, invece di affrontare il nemico, gli volta le spalle e scappa, come il protagonista di 'Corri coniglio' di John Updike. L'eroico e il meraviglioso hanno avuto una funzione specifica nell'organizzare la conoscenza all'interno del mondo orale, ora, con la possibilità - introdotta dalla scrittura e ancor più dalla stampa - di esercitare una forma di controllo sull'informazione e sulla memoria, viene a cessare l'esigenza di un eroe nell'antico senso, che convogli conoscenza sotto forma di racconto."
Cosa distingue una cultura orale da una cultura alfabetizzata?
Lo studioso della cultura Walter J. Ong ha evidenziato, nel suo libro "Oralità e scrittura - Le tecnologie della parola", quanto la tecnologia della scrittura, forse la più importante espressa dall'essere umano finora, ne abbia cambiato il pensiero. Nell'introduzione al libro egli scrive (p.19):

Differenze di fondo sono state scoperte in anni recenti tra i modi della conoscenza e dell'espressione verbale nelle culture ad oralità primaria - vale a dire culture senza la scrittura - e quelli delle culture profondamente interessate dalla stessa. Con sorprendenti implicazioni: molti dei tratti per noi ovvi del pensiero e dell'espressione letteraria, filosofica e scientifica, nonchè della comunicazione orale tra alfabetizzati, non sono dell'uomo in quanto tale, ma derivano dalle risorse che la tecnologia della scrittura mette a disposizione della coscienza umana. Abbiamo, dunque, dovuto rivedere il nostro modo stesso di intendere l'identità umana. Argomento di questo libro [Oralità e scrittura] è la differenza tra oralità e scrittura; o meglio, poichè i lettori di questo come di ogni altro libro conoscono la cultura scritta dal suo interno, si parlerà innanzitutto del pensiero e della sua verbalizzazione in una cultura orale, e solo successivamente del pensiero e dell'espressione scritta in rapporto con la oralità.

Nel delineare ciò che distingue il mondo orale da quello scritto, Ong si sofferma sul fatto che il parlare richiedeva sempre dei movimenti corporali, tanto più evidenti quanto maggiore era l'importanza pubblica del discorso da fare. Egli scrive (p.100):

Il mondo orale non esiste mai in un contesto puramente verbale, come invece accade con la parola scritta. L'espressione orale è sempre la modificazione di uno stato complessivo, esistenziale, che impegna tutto il corpo. L'attività corporea non è né un elemento peregrino, nè un espediente artificioso nella comunicazione orale, ma ne è una componente naturale e addirittura inevitabile. Nell'espressione orale, specialmente se pubblica, l'immobilità assoluta è già di per sé un gesto significativo. [...] Esempi di attività manuale sono la gestualità, spesso elaborata e stilizzata, o attività corporee diverse come l'oscillare avanti e indietro o il ballo. Il Talmud, pur essendo un testo scritto, viene vocalizzato dagli ebrei ortodossi, in gran parte ancora di tradizione orale in Israele, mentre oscillano con il busto avanti e indietro, come io stesso ho potuto vedere.

Cosa distingue una cultura orale da una alfabetizzata? Walter Ong scrive (p. 101):

da uno stile di vita "verbomotorio", nel quale i risultati delle controversie dipendevano più dall'uso efficace delle parole, e di conseguenza dall'interazione umana, che non dalla influenza, in gran parte visiva, del mondo 'oggettivo' delle cose. [...] L'oralità primaria favorisce personalità in un certo modo più comunitarie ed esteriorizzate, meno introspettive, di quelle degli alfabetizzati. La comunicazione orale raggruppa gli individui; la scrittura e la lettura sono invece attività solitarie, che fanno ripiegare la mente su se stessa. Un maestro che parla a una classe che egli sente, e che si sente come un gruppo molto unito, scoprirà che se fa prendere un libro di testo e leggere un dato brano, l'unità del gruppo svanirà appena ogni persona sarà entrata nel proprio mondo individuale.

Walter Ong scrive (p.102):

La comunicazione orale raggruppa gli individui; la scrittura e la lettura sono invece attività solitarie, che fanno ripiegare la mente su se stessa. Un maestro che parla a una classe che egli sente, e che si sente come un gruppo molto unito, scoprirà che se fa prendere un libro di testo e leggere un dato brano, l'unità del gruppo svanirà appena ogni persona sarà entrata nel proprio mondo individuale. A questo proposito Carothers osserva che i popoli a tradizione orale esteriorizzano gli eventuali comportamenti schizoidi, mentre quelli alfabetizzati li interiorizzano. Questi ultimi manifestano spesso tali tendenze (la perdita di contatto con l'ambiente ecc.) ritirandosi fisicamente in un proprio mondo di sogni (sistematizzazione schizofrenico-maniacale), mentre i primi manifestano comunemente le proprie tendenze schizoidi mediante un'estrema confusione esteriore, che li porta spesso ad azioni violente, con mutilazioni di sé e di altri.
Cos'è la lettura? E' immaginare mondi possibili
La lettura è un'esperienza attraverso cui ognuno può ridisegnare il proprio io e aprirsi a mondi virtuali che consentono di intravedere ciò che è possibile, come scrive la linguista e docente di letteratura Lina Bolzoni nell'introduzione al suo libro "Una meravigliosa solitudine - L'arte di leggere nell'Europa moderna" (p. XV):

Un mondo in cui la lettura è esperienza comune e insieme del tutto intima e personale; una specie di viaggio in cui, incontrando l'altro, si riconosce (e si ridisegna) il proprio io; un'esperienza vitale, che dà ospitalità allo sconosciuto e proprio per questo è carica di fascino e di pericolo; un percorso ai limiti del tempo e dello spazio, là dove si delineano infiniti mondi virtuali e la realtà si apre all'orizzonte del possibile. Viene da porsi questa domanda perchè viviamo in un mondo caratterizzato da trasformazioni tecnologiche che hanno una rapidità sconosciuta al passato, che dischiudono possibilità che neppure la fantascienza aveva immaginato, che acuiscono a dismisura le differenze fra le generazioni, e all'interno di una stessa generazione,
Perchè la semiotica è importante per la cultura
La vita quotidiana è impregnata di semiotica e narrazione
Il semiologo Gianfranco Marrone, nel volume "Narrazione ed esperienza - Intorno a una semiotica della vita quotidiana", scrive:

L’Ulisse omerico, il san Tommaso di Caravaggio, il Macbeth shakespeariano, la scrittura estrema di Robert Antelme, il sofferto scandalo di Winfrid Georg Sebald, l’esplosione dei blog. Ma anche l’Erlebnis e l’Erfarhung, Julien Sorel e il signor Goljadkin, le fiabe russe di Afanasjev e il primo bacio fra matricole universitarie, i due amici di Maupassant, gli eroi metasemiotici di Matrix, i liberi-reclusi nel The Village di Shayamalan. E poi ancora Aristotele, James, Ricœur, Geertz, Lévi-Strauss, Schutz, Wittgenstein, Dumézil, Greimas, Benjamin, Bachtin, Dennet, Eco... Quali legami tra tutto ciò? Siamo di fronte alla consueta mescolanza di materiali eterocliti – per qualità estetica, carico sociale, posizione storica, importanza culturale – prodotta da un gruppo di semiologi pronti a testare l’algida efficacia del loro canone metodologico su qualsiasi tema, soggetto, idea o situazione venga a tiro? Così potrebbe in effetti sembrare, scorrendo velocemente fra le pagine di questo libro, che raccoglie gran parte delle relazioni tenute dagli studiosi invitati al XXXIV Congresso dell’Associazione italiana di studi semiotici, dedicato a “Narrazione ed esperienza. Per una semiotica della vita quotidiana”. Ma non è difficile intuire come le cose non stiano esattamente così. Il nodo teorico che lega la narrazione, l’esperienza e la quotidianità è difatti cruciale per gli attuali studi semiotici, sempre più spesso chiamati a erigere un ponte traduttivo fra elaborazioni filosofiche generali e ipotesi interpretative della contemporaneità. E dunque in qualche modo coinvolge, più in generale, sia le pratiche discorsive elaborate dal sapere dei nostri giorni sia i modelli di spiegazione degli attuali fenomeni culturali e sociali.
L'habitus è una capacità infinita di generare liberamente prodotti, cioè pensieri, percezioni, espressioni, azioni ― che hanno sempre come limite le condizioni storiche e sociali situate nella loro produzione. Quindi, l'habitus è una capacità.
Parola scritta vs. Habitus (Bordieu e Peirce)
Dal segno della parola scritta alla modifica dell'habitus dei lettori dei testi
Riguardo alle modifiche del pensiero dobbiamo parlare della semiotica per descrivere  quel processo morfogenetico che definisce i confini tra le parti e l'intero, tra il dentro e il fuori, tra il prima e il dopo. Scrive Walter Ong (p.110):

Chi ha una mentalità modellata dalla scrittura e dalla stampa trova convincente pensare alla parola, essenzialmente come suono, come a un 'segno', poichè il 'segno' è qualcosa che viene soprattutto percepito visibilmente. Il signum da cui deriva la parola 'segno' era lo stendardo innalzato da ogni unità dell'esercito romano per essere identificato visivamente; etimologicamente, indicava l'oggetto che uno segue, dalla radice proto-indoeuropea sekw, seguire. Sebbene i romani conoscessero l'alfabeto, questo signum veniva inteso non come una parola scritta, ma come una specie di disegno o immagine pittorica, ad esempio un'aquila. [...] Il nostro compiacimento nel pensare alle parole come a segni è dovuto alla tendenza, forse incipiente nelle culture orali ma chiaramente marcata in quelle chirografiche e ancor di più in quelle tipografiche ed elettroniche, a ridurre tutte le sensazioni e tutta l'esperienza umana ad analogie visive.

Scrive il semiologo Raffaele De Luca Picione nel libro "La mente come forma. La mente come testo." (p.297):

L'emergenza contestuale dei segni e la loro disponibilità in termini culturali, quali artefatti e mediatori delle relazioni, rende operativi tali confini e avvia un processo di testualizzazione. Il processo di testualizzazione è la realizzazione nel tempo di connessioni non-lineari tra simboli, icone ed indici (non stiamo parlando quindi solo di segni all'interno del codice linguistico) che contribuisce a complessificare il sistema di relazione tra il soggetto, gli altri ed il proprio ambiente. Il processo di testualizzazione risente della formazione degli habitus costituitisi nel passato e consolidatisi, sia nella memoria del soggetto mediante le proprie interazioni, sia nella cultura come dispositivo mnemonico-performativo condiviso.

Ciò significa che la scrittura ha reso, tangibilmente, presenti dei testi che fungono da artefatti i quali vanno a modificare gli 'habitus' delle persone che leggono i testi, avviando quel processo senza fine che oggi chiamiamo 'semiosi illimitata'.
Il triangolo semiotico che crea la cultura
Cos'è la semiosi? Peirce scrive (p. 268): "Con semiosi intendo un'azione o influenza che è, o implica, una cooperazione di tre soggetti, il segno, il suo oggetto e il suo interpretante, tale che che questa influenza relativa non si possa in nessun modo risolvere in azioni fra coppie."
Il neurologo Angelo NM Recchia-Luciani, a proposito delle relazioni tra oggetto, segno e interpretante, scrive (vedi bibliografia 2012):

Charles Sanders Peirce, il fondatore della moderna semiotica dell'interpretazione, definisce il segno come “qualcosa che per qualcuno sta per qualcosa in qualche modo o capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato. Quel segno che crea lo chiamo l'interpretante del primo segno. Il segno sta per qualcosa, il suo oggetto” (Peirce 1931-58 , 2.228). Il segno ha implicazioni legate all'esclusività di questo qualcosa che esclude e scotomizza elementi sulla totalità dei significati possibili. Il segno è per qualcuno: mentre de Saussure focalizza la relazione diadica tra due elementi mentali, il significante (l'“immagine acustica” prodotta da un suono) e il significato (il concetto annesso a tale significante), Peirce coglie appieno l'importanza dell'interpretante, per il quale, il segno non è necessariamente ed esclusivamente convenzionale. [...] Terrence Deacon, interprete di Peirce, sottolinea la natura strutturalmente gerarchica dei segni, una gerarchia che, non solo e semplicemente cresce in termini di complessità, ma anche nella modalità con cui si stabiliscono relazioni tra forme e referenti: “Proprio come gli indici sono costituiti da relazioni tra e tra icone, i simboli sono costituiti da relazioni tra e tra indici (quindi anche tra e tra icone)”. [...] Qualia o caratteristiche qualitative sono proprietà attribuite agli stati mentali. Consistono in proprietà fenomenali (Harman 1990). Sono proposti come indipendenti dalle proprietà rappresentative degli stati mentali, ma accessibili attraverso l'introspezione (Block 1980).
Il termine latino quale (plurale, qualia ) fu usato per la prima volta da Clarence I.Lewis in relazione a 'caratteri qualitativi riconoscibili del dato' (Lewis, 1929 , p. 121) e di solito si riferisce a stati mentali con caratteristiche di soggettività molto distinte, o ad aspetti fenomenici della vita mentale accessibili solo attraverso l'introspezione. [...] Tipici esempi di qualia soggettivi accessibili solo attraverso l'introspezione sono il "rossore" delle rose rosse o della luce rossa, il profumo forse della stessa rosa e i sapori salati, dolci, amari o acidi. In altre parole, quelle che sono tradizionalmente considerate le proprietà specifiche delle esperienze sensoriali.

Quali sono gli effetti della relazione triadica sul comportamento umano?
Sono una modificazione della coscienza

Charles Sanders Peirce, nelle "Opere", a proposito della creazione e modificazione di un 'abito interiore' (cosciente), scrive (p.264):

Si può dimostrare che l'unico effetto mentale che può essere prodotto come interpretante logico 'ultimo' (e che non è segno di nient'altro se non di un'applicazione generale) è un mutamento d'abito. S'intende con mutamento d'abito la modificazione della tendenza di una persona verso l'azione, tendenza che risulta da esperienze precedenti o da precedenti sforzi o atti di volontà, oppure da un insieme di entrambi i generi di cause. [...] Gli abiti hanno gradi di forza che variano dalla dissociazione completa alla associazione inseparabile. Questi gradi sono un misto di prontezza di azione, diciamo pure eccitabilità, e di altri ingredienti che non richiedono qui un esame particolare. Il mutamento di un abito consiste spesso nell'aumento o nella diminuzione della forza di un abito precedente. Gli abiti differiscono anche nella loro durata (che è parimenti una qualità composita).
Come la semiosi diventa illimitata - le continue e successive triangolazioni della semiosi
Ogni nuovo interpretante diventa un nuovo segno, e così via all'infinito
La scrittura ha abilitato un ulteriore sviluppo della neuroplasticità: ogni apprendimento cambia neurofisiologicamente il cervello
Ciò significa che la scrittura ha avviato l'enorme sviluppo dei sistemi simbolici, grazie ai quali  la realtà può essere analizzata, classificata e ipotizzata. Ma questo è solo l'aspetto socioculturale del fenomeno, che viene abilitato da un potente aspetto neurofisiologico: la neuroplasticità, infatti se ricordiamo qualcosa di ciò che abbiamo letto fin qui è perchè il nostro cervello è adesso leggermente diverso da quando abbiamo iniziato a leggere. La scrittura ha dunque abilitato un modo più efficace di leggere la realtà simbolica. L’utilizzo del cervello ne modifica costantemente l’architettura, e questa è anche la base delle differenze esistenti tra le persone.

Lo psichiatra Gary Small e la scrittrice Gigi Vorgan scrivono (vedi bibliografia 2008):

Oltre a influenzare il modo in cui pensiamo, la tecnologia digitale sta alterando il modo in cui ci sentiamo, il modo in cui ci comportiamo. Sette case americane su 10 sono cablate per Internet ad alta velocità. Ci affidiamo a Internet e alla tecnologia digitale per l'intrattenimento, le discussioni politiche e la comunicazione con amici e colleghi. Man mano che il cervello si evolve e sposta la sua attenzione verso nuove abilità tecnologiche, si allontana dalle abilità sociali fondamentali, come leggere le espressioni facciali durante una conversazione o cogliere il contesto emotivo di un gesto sottile. Uno studio della Stanford University del 2002 ha rilevato che per ogni ora che trascorriamo sui nostri computer, il tempo di interazione tradizionale faccia a faccia con altre persone diminuisce di quasi 30 minuti. I giovani adolescenti e ventenni di oggi, che sono stati soprannominati "nativi digitali", non hanno mai conosciuto un mondo senza computer, notiziari televisivi 24 ore su 24, Internet e telefoni cellulari, con video, musica, fotocamere e messaggi di testo. Molti di questi nativi entrano raramente in una biblioteca, figuriamoci cercare qualcosa in un'enciclopedia tradizionale; usano Google, Yahoo e altri motori di ricerca online.
Le reti neurali nei cervelli di questi nativi digitali differiscono notevolmente da quelle degli "immigrati digitali", persone - inclusa la maggior parte dei baby boomer - che sono arrivate all'era digitale/del computer da adulti ma il cui cablaggio cerebrale di base è stato stabilito durante un periodo in cui la diretta l'interazione sociale era la norma. Sappiamo che i circuiti neurali del cervello rispondono in ogni momento a qualunque input sensoriale ricevano e che le molte ore che le persone trascorrono davanti al computer, tra cui troll su Internet, scambio di e-mail, videoconferenze, messaggistica istantanea ed e-shopping, espongono i loro cervelli a una costante stimolazione digitale. Il nostro team di ricerca presso l'Università della California, a Los Angeles, ha voluto esaminare l'impatto che questo tempo prolungato del computer stava avendo sui circuiti neurali del cervello, quanto velocemente poteva costruire nuovi percorsi e se potevamo osservare e misurare questi cambiamenti come si sono verificati. Volevamo osservare e misurare solo l'attività del cervello da quei compiti mentali richiesti per la ricerca su Internet, come la ricerca di parole chiave mirate, la scelta rapida tra diverse alternative, il ritorno a una pagina precedente se una particolare scelta di ricerca non era utile e così via. Abbiamo alternato questo compito di controllo, la semplice lettura di una pagina di testo simulata, con il compito di ricerca su Internet. Abbiamo anche controllato le stimolazioni cerebrali non specifiche causate dalle fotografie e dai disegni che vengono tipicamente visualizzati su una pagina Internet. Una delle nostre preoccupazioni nella progettazione dello studio era che cinque giorni non sarebbero stati sufficienti per osservare eventuali cambiamenti. Ma dopo soli cinque giorni di pratica, lo stesso identico circuito neurale nella parte anteriore del cervello è diventato attivo nei soggetti ingenui su Internet. Cinque ore su Internet e questi partecipanti avevano già ricablato i loro cervelli. I volontari esperti di computer hanno attivato la stessa regione cerebrale frontale al basale e hanno avuto un livello di attivazione simile durante la seconda sessione, suggerendo che per un tipico individuo esperto di computer, l'allenamento del circuito neurale avviene relativamente presto e poi rimane stabile.

Conseguenze di questo stato: Techno-Brain Burnout

La nostra rivoluzione high-tech ci ha fatto precipitare in uno stato di "continua attenzione parziale", che la dirigente del software Linda Stone, che ha coniato il termine nel 1998, descrive come essere continuamente occupati, tenendo d'occhio tutto senza mai concentrarsi veramente su nulla. L'attenzione parziale continua differisce dal multitasking, in cui abbiamo uno scopo per ogni attività e stiamo cercando di migliorare l'efficienza e la produttività. Invece, quando le nostre menti partecipano parzialmente, e lo fanno continuamente, cerchiamo un'opportunità per qualsiasi tipo di contatto in ogni dato momento. Chattiamo virtualmente mentre scorrono i nostri messaggi di testo e teniamo d'occhio gli elenchi di amici attivi (amici e altri nomi visualizzati in un programma di messaggistica istantanea); tutto, ovunque, è connesso attraverso la nostra attenzione periferica. Sebbene avere tutti i nostri amici online di momento in momento sembri intimo, rischiamo di perdere il contatto personale con le nostre relazioni nella vita reale e potremmo provare un senso artificiale di intimità rispetto a quando spegniamo i nostri dispositivi e dedichiamo la nostra attenzione a un individuo alla volta. Quando prestano continua attenzione parziale, le persone possono mettere il loro cervello in uno stato di stress elevato. Non hanno più tempo per riflettere, contemplare o prendere decisioni ponderate. Invece esistono in un senso di crisi costante, in allerta per un nuovo contatto o un po' di notizie o informazioni entusiasmanti in qualsiasi momento. Una volta che le persone si sono abituate a questo stato, tendono a prosperare grazie alla connettività perpetua. Nutre il loro ego e il loro senso di autostima e diventa irresistibile.
Gli studi di neuroimaging suggeriscono che questo senso di autostima può proteggere le dimensioni dell'ippocampo, la regione del cervello a forma di ferro di cavallo nel lobo temporale mediale (rivolto verso l'interno), che ci consente di apprendere e ricordare nuove informazioni. La professoressa di psichiatria Sonia J. Lupien e i suoi colleghi della McGill University hanno studiato le dimensioni dell'ippocampo in volontari sani giovani e anziani. Le misure di autostima correlavano significativamente con le dimensioni dell'ippocampo, indipendentemente dall'età. Hanno anche scoperto che più le persone si sentono in controllo della propria vita, più grande è l'ippocampo. Ma a un certo punto, il senso di controllo e autostima che proviamo quando manteniamo un'attenzione parziale continua tende a crollare: i nostri cervelli non sono stati costruiti per sostenere tale monitoraggio per lunghi periodi. Alla fine le ore di inesorabile connettività digitale possono creare un tipo unico di affaticamento cerebrale. Molte persone che hanno lavorato su Internet per diverse ore senza interruzioni riferiscono di aver commesso frequenti errori nel loro lavoro. Al momento della chiusura, notano di sentirsi distanziati, affaticati, irritabili e distratti, come se fossero in una "nebbia digitale". Questa nuova forma di stress mentale, ciò che Small definisce "esaurimento del cervello tecnologico", minaccia di diventare un'epidemia. Sotto questo tipo di stress, il nostro cervello segnala istintivamente alla ghiandola surrenale di secernere cortisolo e adrenalina. Nel breve periodo, questi ormoni dello stress aumentano i livelli di energia e aumentano la memoria, ma nel tempo in realtà compromettono la cognizione, portano alla depressione e alterano i circuiti neurali nell'ippocampo, nell'amigdala e nella corteccia prefrontale, le regioni del cervello che controllano l'umore e il pensiero. Il burnout tecno-cervello cronico e prolungato può persino rimodellare la struttura cerebrale sottostante. I ricercatori hanno anche scoperto che le prestazioni dei soggetti dello studio miglioravano se facevano un pisolino di 20-30 minuti. Le reti neurali coinvolte nell'attività sono state apparentemente aggiornate durante il riposo; tuttavia, il rinfresco e il rinvigorimento ottimali per l'attività si sono verificati quando i pisolini sono durati fino a 60 minuti, il tempo necessario per il sonno REM (Rapid Eye-Movement) per entrare in azione. Che siamo nativi digitali o immigrati, alterare le nostre reti neurali e le connessioni sinaptiche attraverso attività come e-mail, videogiochi, googling o altre esperienze tecnologiche affina alcune capacità cognitive. Possiamo imparare a reagire più rapidamente agli stimoli visivi e migliorare molte forme di attenzione, in particolare la capacità di notare le immagini nella nostra visione periferica. Sviluppiamo una migliore capacità di vagliare rapidamente grandi quantità di informazioni e decidere cosa è importante e cosa no: i nostri filtri mentali imparano fondamentalmente come passare all'overdrive. In questo modo, siamo in grado di far fronte alle enormi quantità di dati che appaiono e scompaiono sui nostri schermi mentali di momento in momento. Inizialmente il blitz quotidiano che ci bombarda può creare una forma di deficit di attenzione. L'evoluzione digitale potrebbe aumentare la nostra intelligenza nel modo in cui attualmente misuriamo e definiamo il QI. I punteggi medi del QI sono in costante aumento con l'avanzare della cultura digitale e la capacità di multitasking senza errori sta migliorando. Il neuroscienziato Paul Kearney di Unitec in Nuova Zelanda ha riferito che alcuni giochi per computer possono effettivamente migliorare le capacità cognitive e le capacità multitasking. Ha scoperto che i volontari che hanno giocato ai giochi otto ore alla settimana hanno migliorato le capacità di multitasking di due volte e mezzo. Altre ricerche presso l'Università di Rochester hanno dimostrato che anche i videogiochi possono migliorare la visione periferica. Man mano che il cervello moderno continua ad evolversi, alcune capacità di attenzione migliorano, i tempi di risposta mentale si acuiscono e l'esecuzione di molti compiti cerebrali diventa più efficiente. Mentre i cervelli dei nativi digitali di oggi si stanno preparando per rapide ricerche informatiche, tuttavia, i circuiti neurali che controllano i metodi di apprendimento più tradizionali vengono trascurati e gradualmente diminuiti. I percorsi per l'interazione e la comunicazione umana si indeboliscono con l'atrofia delle abilità individuali. Il nostro team di ricerca dell'UCLA e altri scienziati hanno dimostrato che possiamo alterare intenzionalmente il cablaggio del cervello e rinvigorire alcuni di questi percorsi neurali in diminuzione, anche se i circuiti tecnologici di recente evoluzione portano i nostri cervelli a livelli straordinari di potenziale. Tutti noi, nativi digitali e immigrati, padroneggeremo le nuove tecnologie e sfrutteremo le loro efficienze, ma dobbiamo anche mantenere le nostre capacità personali e la nostra umanità. Che si tratti di una ricerca mirata su Google o di un esercizio di ascolto empatico, le nostre risposte sinaptiche possono essere misurate, modellate e ottimizzate a nostro vantaggio e possiamo sopravvivere all'adattamento tecnologico della mente moderna.
La visione sociologica di Bordeau. Cos'è un habitus: le nostre interpretazioni sono, prevalentemente, consce
Secondo il filosofo Carlos Belvedere (vedi bibliografia 2013) l'habitus, nella concezione del sociologo Pierre Bordeau, è:

L'habitus è una capacità infinita di generare liberamente prodotti, cioè pensieri, percezioni, espressioni, azioni ― che hanno sempre come limite le condizioni storiche e sociali situate nella loro produzione. Quindi, l'habitus è una capacità.
L'habitus è un insieme di disposizioni trasferibili durevoli, che funzionano come principi che generano e organizzano percezioni, pratiche e rappresentazioni, e come strutture motivazionali e cognitive che costituiscono il mondo pratico come un mondo di mete già raggiunte e oggetti dotati di carattere teleologico permanente. […] Come sistema di disposizioni, l'habitus è un insieme di virtualità, potenzialità ed eventualità.

Il think tank Partageons L'Eco esamina il concetto di habitus in Bordeau e scrive (vedi bibliografia 2019):

Per comprendere la nozione di habitus è necessario ritornare alla nozione di " campo " e di " capitale", alla base stessa dell'analisi di Bourdieu di " struttura sociale". Egli, infatti, coglie il mondo sociale come diviso in quelli che chiama "campi". Che sia religioso, politico, medico o anche artistico, il “campo” è un “microcosmo sociale” in cui i partecipanti occupano posizioni diverse e gerarchiche secondo la loro dotazione di “capitale”. Che siano di natura economica (corrispondente a tutte le risorse e patrimonio), culturale (tutte le risorse e gli assetti culturali) o anche sociale (tutte le relazioni sociali possono essere utilmente mobilitate), i vari capitali a disposizione degli individui sono più o meno valorizzati in un campo. Ogni campo, infatti, risponde a regole proprie e per scopi precisi (“ non si può far correre un filosofo con la posta in gioco di un geografo "). Inoltre, a ciascun campo corrisponde un habitus collettivo che gli è specifico; Pierre Bourdieu chiama "eredi", gli agenti il ​​cui habitus corrisponde naturalmente al campo, vale a dire coloro che sono più dotati nella capitale di questo campo. Le dinamiche di ogni campo derivano da una lotta perpetua tra gli agenti sociali per occupare le posizioni più dominanti. L' habitus si riferisce a un sistema di preferenze, stile di vita particolare per tutti. Non nasce da un automatismo ma da una predisposizione all'azione che condiziona quotidianamente le pratiche degli individui: il loro modo di vestire, di parlare, di percepire. Queste predisposizioni vengono interiorizzate inconsciamente durante la fase di socializzazione , durante la quale l'individuo si adatta e si integra in un ambiente sociale. Durante questo periodo l'individuo viene poi condizionato in modo invisibile e costruisce un modo di essere e di agire nei confronti del mondo e del mondo. [...]
Infine, Pierre Bourdieu specifica che l'abitudine è al centro della riproduzione delle strutture sociali. Indica che quest'ultimo, essendo incorporato, assicura la presenza attiva in ogni individuo, in ogni corpo, della storia dei rapporti di dominio e di ordine sociale. L'habitus assicura così che le aspirazioni di tutti siano adeguate alla probabilità che ognuno debba vedere realizzate le proprie speranze. Fornisce così agli agenti una valutazione dei loro probabili destini e "porta tutti a prendere la realtà per i propri desideri". Tuttavia, va notato che le disposizioni dell'habitus non sono definitive. La traiettoria sociale degli individui può infatti evolvere e, quindi, trasformare parzialmente il loro habitus. È così che l'habitus non traduce mai una situazione immutabile; è un processo che evolve adeguandosi alle condizioni dell'azione.
L'analisi di Walter Ong ha evidenziato un tratto sorprendente della cultura umana, cioè il fatto che l'invenzione della scrittura ha avuto sorprendenti implicazioni sul pensiero, sulla mentalità e sull'espressione letteraria, filosofica e scientifica. Anche la comunicazione orale tra alfabetizzati, non è propria dell'essere umano in quanto tale, ma deriva dalle risorse che la tecnologia della scrittura ha messo a disposizione della coscienza umana. In poche parole: non saremmo così se non avessimo avuto la scrittura a forgiare, nei secoli, i nostri processi mentali.
Formazione della cultura umana
Sul modo in cui si è formata la cultura umana Walter Ong scrive (p.20):

La società umana si formò dapprima con l'aiuto del discorso orale, e conobbe la scrittura solo più tardi, e all'inizio limitatamente a certi gruppi. L'homo sapiens esiste sulla terra da un numero di anni che va dai 30.000 ai 50.000, mentre il più antico sistema di scrittura risale solo a 6.000 anni fa. Uno studio diacronico dell'oralità, della scrittura e delle varie tappe nell'evoluzione dall'una all'altra crea strumenti mediante i quali è possibile capire meglio la cultura orale originaria e quella scritta successiva, ma anche la cultura della stampa, che sviluppa ulteriormente la scrittura, e quella elettronica, che si costruisce a partire dalla scrittura e dalla stampa. In questo quadro diacronico, il passato e il presente, Omero e la televisione, possono illuminarsi vicendevolmente.
Cosa fa il cervello quando scriviamo?
L'autobiografia è un'attività, da punto di vista psicologico, che sarebbe utile a tutti e in Italia esiste addirittura un "Festival dell'autobiografia di Anghiari" al quale consiglio di partecipare per ascoltare le storie che i relatori (in maggioranza psicoterapeuti) narrano. Scrivere di sé fa bene, e sappiamo che la narrativa è sempre autobiografica seppure in modo indiretto. Come scrive la formatrice Elisa Turrini: "L'autobiografia cognitiva è il processo consapevole di ricostruzione delle proprie esperienze in forma narrativa in modo da conferire ad esse un senso. Il riferimento è alle ricerche di Duccio Demetrio sulla valenza pedagogica della narrazione di sé e al pensiero narrativo di Jerome Bruner."


Dal punto di vista organico ciò che succede nel cervello quando scriviamo è riportato nell'articolo "Psychologically speaking: your brain on writing":

Lobo frontale
Il lobo frontale del cervello è a volte indicato come il "centro di controllo" delle nostre azioni volontarie perché è responsabile del processo decisionale e della pianificazione. Questa funzione di pianificazione entra in gioco abbastanza presto durante il processo di scrittura. Supponiamo che tu abbia il compito di descrivere un evento della tua infanzia. Sarà il tuo lobo frontale a scegliere quale evento scegliere di descrivere e ti permetterà di pianificare come affrontare il compito.

Ippocampo
Hai deciso che lo racconterai la storia del tuo primo giorno di scuola materna e di come ti sei rovesciato addosso la vernice nei primi dieci minuti. Com'è che ricordi questo evento in modo così vivido quando ebbe luogo quindici anni fa? Questo grazie al tuo ippocampo. L'ippocampo è coinvolto sia nella formazione che nel recupero dei ricordi a lungo termine (cioè i ricordi che devono essere conservati per più di un minuto o due) e quindi è ciò che estrae quel ricordo dalla memoria in modo che tu possa riviverlo e scriverlo.

Area di Broca
L'area di Broca gioca un ruolo abbastanza ovvio nel processo di scrittura una volta che sei consapevole di ciò che fa. Si trova nell'emisfero sinistro del lobo frontale del cervello ed è responsabile della produzione del linguaggio. È ciò che ti dà la possibilità di trasformare il tuo ricordo di aver lasciato impronte verdi lungo il corridoio in una descrizione scritta. Qualcuno con un danno all'area di Broca (qualcuno con l'afasia di Broca per esempio) sarebbe in grado di capire cosa richiede l'incarico, ma non sarebbe in grado di formare una risposta, né verbale né scritta.

Area di Wernicke
Area di Wernicke e area di Broca a volte sembrano le 2 facce della stessa medaglia. Mentre l'area di Broca è responsabile della produzione, l'area di Wernicke, che fa parte del lobo temporale sinistro, è responsabile della comprensione. Questa zona del cervello è quella che ti permette di leggere quello che hai scritto e capire se quello che c'è sulla pagina corrisponde a quell'immagine che hai in testa, delle tue scarpe da corsa nuove di zecca ricoperte di vernice blu e verde. Qualcuno con danni all'area di Wernicke può produrre un discorso che suona fluente a chi non parla inglese, ma non è composto da un vero vocabolario inglese. In altre parole, le parole stesse sono senza senso, ma suonano fluenti. Per rivedere il tuo lavoro, l'area di Wernicke ti permette di capire cosa hai creato, mentre l'area di Broca sta producendo un nuovo linguaggio per migliorare ciò che è già sulla pagina.

Corteccia visiva vs area del linguaggio

Quando ricordi un'esperienza passata e "la vedi" con gli occhi della tua mente o ne leggi una descrizione, la tua corteccia visiva funziona in modo simile a come funziona quando guardi qualcosa nella vita reale. Uno studio sulla scansione del cervello del Dr. Martin Lotze e del suo team presso l'Università di Greifswald in Germania ha dimostrato che quando agli scrittori alle prime armi veniva detto di scrivere una storia, le loro cortecce visive si illuminavano. Ciò suggerisce che stavano "guardando" la storia che stavano creando, svolgersi nella loro testa, in modo simile a come guarderesti un film.
Gli scrittori esperti hanno mostrato un'attivazione extra nelle parti dell'area di Broca dedicate al discorso, suggerendo che gli scrittori esperti creano invece le loro storie attraverso una “narrazione” interiore. Mentre pensi di pulire le scarpe con un tovagliolo di carta, nota come ci pensi. Lo stai guardando nella tua testa? Stai ascoltando te stesso mentre racconti la storia? Chissà, potresti persino sperimentare il tuo processo di pensiero in un modo completamente diverso.

Zona motoria
Quindi hai le immagini nella tua mente e tutte le parole per descriverli, ma come li metti fisicamente sulla pagina? La tua area motoria, una lunga striscia nella parte posteriore del lobo frontale, è responsabile dell'invio di segnali ai muscoli. Ciò ti consente di tenere una penna e formare le lettere fisiche sulla pagina o, se stai digitando, premere i tasti corretti nella giusta sequenza. Pensaci; il tuo cervello invia attivamente segnali alle tue dita per eseguire movimenti specifici in rapida successione. È piuttosto sorprendente, specialmente se pensi a quanto sei più coordinato ora, quindici anni dopo aver rovesciato l'intero vassoio di vernice.

Nucleo caudato
Questa parte è potenzialmente del massimo interesse per tutto il processo. Il nucleo caudato si trova in profondità all'interno del cervello ed è coinvolto in processi che sono stati ampiamente praticati [attiva l'inconscio cognitivo]. Ad esempio, se suoni uno strumento musicale, suonare le scale potrebbe essere stato difficile a un certo punto, ma ora è quasi automatico. Questo perché praticare un'abilità consente al nucleo caudato di coordinare alcuni degli altri sistemi cerebrali [inconscio cognitivo] che lavorano insieme per completare il processo in modo più efficiente. Lo stesso studio di scansione del cervello menzionato sopra ha dimostrato che durante il processo di scrittura, questa parte del cervello è estremamente attiva negli scrittori esperti ma rimane tranquilla negli scrittori alle prime armi. Potresti considerarti un principiante mentre ti siedi per scrivere la tua memoria dell'asilo, oppure potresti essere un professionista. In ogni caso, più ti eserciti, più facile diventerà la scrittura man mano che il tuo cervello si adatta.
Sembra dunque che, come ha fatto Walter Ong, studiando in modo diacronico l'evoluzione culturale si possano ricostruire le tappe degli strumenti che l'hanno, via via, creata, a partire dallo sviluppo della scrittura e della stampa, sino all'invenzione della scrittura elettronica e delle reti di comunicazione digitale. Le premesse al nostro sviluppo culturale sono molto antiche, e appare chiaro, ad esempio, che i greci fecero qualcosa di grandissima importanza psicologica quando svilupparono il primo alfabeto completo, comprendente anche le vocali. Eric Havelock ritiene che questa trasformazione cruciale della parola da suono a espressione visiva abbia conferito all'antica cultura greca il suo ascendente intellettuale sulle altre culture antiche.
Conclusioni (provvisorie): La comunicazione orale raggruppa gli individui; la scrittura e la lettura sono invece attività solitarie, che aiutano la riflessione
Sembra che il modo in cui, oggi, ragioniamo in modo cosciente, cioè il modo con il quale organizziamo le nostre risorse inconsce, non è proprio dell'essere umano arcaico ma deriva dalle risorse che la tecnologia della scrittura ha via via reso disponibili, alla coscienza umana. Questa è la conclusione cui è arrivato lo studioso di storia della cultura Walter J. Ong espresse nel libro 'Oralità e scrittura': in altre parole se oggi ragioniamo così è perchè, prima la scrittura e dopo tutte le altre tecnologie della comunicazione (oggi la Rete e i social media), hanno avuto implicazioni profonde nella costruzione del nostro modo di pensare, cioè sulla nostra mentalità. Nell'introduzione al suo libro Walter Ong scrive: "Il nostro libro tratta, non solo della scrittura, ma anche della stampa, e accenna fugacemente all'elaborazione elettronica della parola e del pensiero, come nella radio, nella televisione e via satellite. Solo ora, nell'era elettronica, ci rendiamo conto delle differenze esistenti tra oralità e scrittura; sono state infatti le diversità fra i mezzi elettronici e la stampa che ci hanno resi consapevoli di quelle precedenti fra scrittura e comunicazione orale. L'era elettronica è anche un'era di 'oralità di ritorno', quella del telefono, della televisione, la cui esistenza dipende dalla scrittura e dalla stampa". Il linguaggio e l'alfabetismo sono le principali caratteristiche che distinguono le società animali da quelle umane ma anche, all'interno di queste, le società civilizzate da quelle primitive, come ha dimostrato l'antropologo Jack Goody nel suo libro 'L'addomesticamento del pensiero selvaggio' nel quale mostra come le differenze tra le varie società possono essere fatte risalire ai cambiamenti introdotti nei mezzi di comunicazione, con l'introduzione dei vari tipi di scrittura (cuneiforme, geroglifica, alfabetica, sillabica) fino all'introduzione della stampa e, infine, alla comunicazione digitale consentita dalla rete Internet che stiamo vivendo da pochi decenni. Ad ognuna di queste tappe aumentava la distanza tra mondi alfabetizzati e mondi non alfabetizzati. Una distanza che investiva tutte le strutture intellettuali della società (economiche, sociali, politiche). Per l'importanza degli enormi effetti che la comunicazione ha avuto sullo sviluppo sociale, è importante capire la differenza tra cultura orale e cultura scritta che il linguista Walter J. Ong ha descritto nel suo libro 'Oralità e scrittura'. Egli spiega che l'invenzione della scrittura ha comportato il passaggio dell'essere umano, come ha scritto Ong (p. 101): "da uno stile di vita "verbomotorio", nel quale i risultati delle controversie dipendevano più dall'uso efficace delle parole, e di conseguenza dall'interazione umana, che non dalla influenza, in gran parte visiva, del mondo 'oggettivo' delle cose. [...] L'oralità primaria favorisce personalità in un certo modo più comunitarie ed esteriorizzate, meno introspettive, di quelle degli alfabetizzati. La comunicazione orale raggruppa gli individui; la scrittura e la lettura sono invece attività solitarie, che fanno ripiegare la mente su se stessa. Un maestro che parla a una classe che egli sente, e che si sente come un gruppo molto unito, scoprirà che se fa prendere un libro di testo e leggere un dato brano, l'unità del gruppo svanirà appena ogni persona sarà entrata nel proprio mondo individuale." L'apparire dell'introspezione nella personalità umana è stato trattato nella pagina "Archeologia della mente". Tutto questo vuol dire che l'uomo con oralità primaria era più agonistico (verbalmente), meno introspettivo, più confuso esteriormente e più violento. La scrittura ha creato un mondo nuovo per l'essere umano dal punto di vista psicodinamico, avviando lentamente la trasformazione della società umana.
per scaricare le conclusioni (in pdf):
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Libri consigliati
a chi vuole capire come la mente umana è stata cambiata dalla scrittura
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Pagina aggiornata il 19 agosto 2023

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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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